Tanto per non rompere con le consuetudini, sono stati confermati anche per l’anno prossimo i tagli al personale docente ed A.T.A. della scuola pubblica. Il centrosinistra, con la finanziaria 2007/2008, non ha perso tempo a provvedere al taglio di scuole, Università, sanità e pensioni, aumentando a dismisura le spese militari. Ma ciò non è bastato e ha ritenuto opportuno (sulla spinta delle destre) rincarare la dose. Con un’ennesima legge varata la viglia di Natale, che ridefiniva il numero dei tagli (ovviamente in difetto!), si è oggi giunti alla resa dei conti: per l’a.s. 2008/2009 è riconfermato (c.m. 19 del 1 febbraio 2008 e annesso decreto interministeriale) un piano di tagli di circa 11mila lavoratori della scuola (mille per il personale A.T.A. e 10mila per quello docente).
Questi provvedimenti sono l’ennesima prova di come questa società, per far fronte alla sua fisiologica crisi, debba provvedere ad abbattere, ogni giorno più violentemente, quello che un tempo era chiamato welfare state. Ne è una prova evidente il protocollo del 23 luglio, che ha riscosso il plauso di tutto il parlamento, della Confindustria e dei sindacati confederali e di destra. Ancora una volta i sindacati, si confermano essere una forza politica perfettamente organica agli interessi degli imprenditori a scapito dei lavoratori.
Dei posti eliminati circa la metà (5mila) riguarda le scuole del Sud. Il governo ha dato una giustificazione a tale operato criminale, affermando che il numero dei docenti in servizio deve essere regolato in base agli alunni tutt’oggi frequentanti le scuole e non in base alla popolazione in età scolare presente sul territorio. Emerge da ciò un desolante quadro che non fa altro che alimentare la piaga dell’analfabetismo e della galoppante dispersione scolastica: un cocktail che rende i giovani meridionali meno qualificati professionalmente e maggiormente sfruttabili dagli imprenditori: conviene sempre avere un "serbatoio di precarietà" dal quale attingere manodopera a basso costo, anche da trasferire al Nord.
Inutile dire che la regione più penalizzata dalle "forbici" dello stato è proprio la Campania. La stessa regione che è ormai (a proposito dell questione rifiuti) l’immancabile meta del pellegrinaggio dei politici a caccia dell’ultimo voto per le prossime elezioni politiche. Il 12 marzo, per le vie di Napoli, si è tenuta una manifestazione molto viva e partecipata che, al di là delle varie bandiere sindacali, ha visto scendere in piazza i lavoratori della scuola con un unico obiettivo: fermare chi vuole distruggere la scuola pubblica e fare del Sud e della Campania un contenitore di manodopera super-sfruttabile (poichè meno specializzata e titolata), chiudendo scuole, formando classi sempre più numerose e tagliando anche i fondi (si passa da 25 milioni di euro dell’a.s. 2006/2007 a 7,7 milioni per l’anno 2008/2009!). Se si paragonano le risorse erogate alla scuola agli 8 miliardi di euro regalati alle aziende tramite riduzione delle tasse, ci rendiamo conto palesemente di come la bilancia dello stato penda totalmente a favore del padronato.
Nella fattispecie la Campania perde 3400 docenti (metà dei quali nella scuola primaria), mentre la provincia più penalizzata è quella di Napoli, in pole position per dispersione scolastica, analfabetismo e percentuale di ripetenti (prima in Italia). Nel solo Comune di Napoli è attestata un’evasione scolastica alle elementari del 3%. La lotta degli insegnanti per la stabilizzazione dei posti di lavoro che, tra alterne fasi, è perennemente in movimento, non deve essere scissa dalle lotte degli altri lavoratori; infatti solo componendo queste in unica istanza contro la precarietà, si può giungere alla stabilizzazione dei posti di lavoro. Per fare ciò occorre creare nel proprio contesto lavorativo momenti assembleari autorganizzati che, a dispetto di come fanno i sindacati filo-padronali, diano un reale slancio alle sacrosante lotte dei lavoratori.